«Ogni famiglia, ogni addio è diverso»
Intervista con la Dr.ssa Kathrin Hauri e Michèle Widler

La Dott.ssa Kathrin Hauri è medica caposervizio e Michèle Widler è la psicologa del team di cure palliative pediatriche presso l’Ospedale pediatrico universitario di Basilea-Città e Campagna (UKBB). L’UKBB è uno dei quattro centri di competenza attualmente certificati per le cure palliative pediatriche in Svizzera, dove bambini e adolescenti affetti da malattie che limitano l’aspettativa di vita (life-limiting) o da patologie potenzialmente letali vengono assistiti insieme alle loro famiglie in modo globale e olistico.
Signora Hauri, cosa distingue le cure palliative per bambini e adolescenti malati di cancro da quelle per gli adulti?
L’assistenza palliativa in età adulta riguarda molto spesso gli anziani. Nei bambini malati di cancro, invece, la malattia arriva quando la vita è appena iniziata, mentre negli adolescenti si presenta proprio nel pieno della loro vita. Questi bambini e adolescenti sono circondati da familiari e amici, magari vanno già a scuola o seguono una formazione. Sono pieni di energia, hanno progetti e desideri per il futuro. Tutto è orientato alla vita e al proprio sviluppo personale. Quando un bambino è affetto da una malattia incurabile, questo complesso sistema va in tilt. Nelle cure palliative pediatriche accompagniamo questi bambini e le loro famiglie in modo olistico, ossia li assistiamo a livello medico, psicosociale ed etico. L’obiettivo principale è sempre quello di migliorare la qualità della vita quando non è più possibile guarire.
Signora Hauri, di cosa hanno più bisogno i genitori quando diventa evidente che la terapia non funziona per il loro figlio?
In questa fase è particolarmente importante comunicare in modo aperto e sincero. Serve inoltre una posizione chiara riguardo a ciò che in questo momento può aiutare il bambino e a quello che potrebbe magari provocare l’effetto contrario. Quando è meglio rinunciare ad altre terapie debilitanti, ci concentriamo su come alleviare i sintomi della malattia. Accompagniamo le famiglie nell’individuare insieme quale sia per loro il limite da non oltrepassare. Si tratta di domande come: «Cos’è ancora accettabile? E cosa significa, concretamente, qualità della vita per il bambino?» Le risposte a questi interrogativi sono sempre molto personali. Noi del team di cure palliative siamo qui per accompagnare i genitori in questo delicato processo decisionale e per offrire loro sostegno. La qualità della vita resta sempre la nostra priorità.
Signora Widler, come può come psicologa sostenere i genitori colpiti da questa situazione?
I genitori vivono un conflitto interiore tra la consapevolezza che la fine si avvicina e la speranza che rimane viva fino all’ultimo. Come psicologa è importante dare spazio a questa tensione e offrire un dialogo aperto. I genitori si chiedono sempre: «Come posso essere una buona madre o un buon padre per mio figlio?» La risposta è molto diversa per ognuno di loro; niente è giusto o sbagliato. Noi del team di cure palliative cerchiamo, insieme alla famiglia, di trovare la strada più giusta da percorrere per loro. Vogliamo aiutare i genitori affinché un giorno possano guardarsi indietro e dire: «Abbiamo fatto tutto ciò che era importante per nostro figlio... ed è stato giusto così.» Questo richiede grande franchezza e trasparenza quando parliamo con i genitori della fine ormai vicina, sempre tenendo conto anche dei desideri del bambino.
Signora Hauri, come affrontano il tema della morte i bambini o gli adolescenti colpiti dalla malattia?
Spesso percepiscono molto chiaramente ciò che gli sta succedendo. Alcuni affrontano l’argomento apertamente, altri si esprimono in modo diverso. È importante che noi adulti sappiamo cogliere questi segnali e dare spazio ai loro sentimenti e ai loro bisogni. Tra la consapevolezza della propria mortalità e la morte c’è spesso ancora molta vita da vivere. Molti bambini si chiedono: «Cosa voglio ancora fare? Cos’è importante per me ora?» In questa fase mostrano spesso una sorprendente maturità e lucidità. I bambini tendono a lottare molto meno contro il proprio destino rispetto agli adulti, forse perché sono più radicati nel «qui e ora». Noi del team di cure palliative ascoltiamo con attenzione, cerchiamo di realizzare i desideri e di aiutare i genitori a reagire anche in una situazione così estrema. Questo significa anche prepararli e informarli sul processo della morte. Sapere, da un punto di vista medico, cosa attende il proprio figlio consente ai genitori di prendere le decisioni che sentono «giuste» per lui. Per esempio, se il bambino desidera morire a casa. Accompagniamo questo processo da vicino e, su richiesta, siamo presenti in qualsiasi momento, di giorno e di notte.
Signora Widler, come possono i genitori riuscire a «lasciar andare» il proprio figlio in una situazione così terribile?
Non si tratta di «lasciar andare». L’idea di perdere qualcuno che si ama profondamente genera paura e disperazione. Noi cerchiamo piuttosto di trasmettere ai genitori e ai fratelli il concetto che il bambino deceduto occupa un nuovo posto nella famiglia, così che possa rimanere presente oltre la morte. In questo processo sono d’aiuto i rituali e i luoghi della memoria, che sono diversi per ogni famiglia. È però fondamentale anche avere una rete di supporto che sappia essere vicina e dare sostegno, sia sul piano emotivo, sia su quello organizzativo. All’inizio, molti genitori continuano a «funzionare» come sempre. Spesso, però, sono le settimane e i mesi successivi a diventare difficili, quando c’è più spazio per vivere il lutto. Per questo chiediamo se genitori o fratelli hanno bisogno di qualcosa, gli facciamo visita e restiamo in contatto. Ma anche qui vale il principio che ogni famiglia, ogni addio è diverso. La fase del lutto non segue un percorso lineare, non «scompare» da un giorno all’altro ma si trasforma nel tempo.
Signora Widler, anche i fratelli vivono un forte stress emotivo in questo periodo. Di cosa hanno bisogno per affrontare la morte di un fratello o di una sorella?
I bambini che perdono un fratello o una sorella hanno soprattutto bisogno di normalità, poter continuare ad andare a scuola, dedicarsi ai propri passatempi e stare con persone a loro care. La routine quotidiana trasmette sicurezza e dà loro la sensazione di non essere dimenticati, sia durante la malattia, sia dopo. I bambini vivono il lutto in modo diverso dagli adulti: lo esprimono a tratti e possono alternare momenti di tristezza a momenti di gioco e gioia. Ed è proprio qui che occorre offrire un sostegno concreto, dedicando tempo e attenzione ai fratelli in lutto e, al tempo stesso, alleggerendo il peso sui genitori. È importante lasciare che i fratelli decidano da soli quanto desiderano essere coinvolti in questa fase finale della vita. Alcuni desiderano dire addio attivamente, con una lettera, un disegno o un’ultima visita. I bambini che hanno perso un fratello o una sorella hanno bisogno di un proprio spazio di azione e di un accompagnamento personalizzato.
Signora Hauri, come può l’ambiente circostante sostenere al meglio la famiglia in lutto?
Spesso si tratta di gesti apparentemente piccoli ma preziosi, come cucinare un pasto, occuparsi dei fratelli, o fare semplicemente una visita. È importante dimostrare la propria presenza, non solo nelle prime settimane e nei primi mesi dopo il funerale, ma anche in seguito. Il dolore non svanisce semplicemente con il passare del tempo. Anniversari, compleanni o festività come il Natale sono momenti spesso particolarmente difficili per le famiglie, anche a distanza di anni dalla morte del figlio. Molti genitori temono che venga dimenticato e hanno la sensazione che non importi più a nessuno. Per questo è così importante mantenere i contatti e mostrare disponibilità al dialogo, anche se non è sempre facile.
Signora Widler, la morte, in particolare quella di un bambino, è ancora un tabù nella nostra società?
Senza dubbio. Se la morte non fosse più un tabù, come società sapremmo gestirla meglio. Per esperienza posso affermare che i genitori in lutto desiderano parlare del proprio figlio quando sentono che è il momento giusto per farlo. Parlandone, si apre uno spazio in cui il lutto e il bambino trovano il loro posto. Spesso amici o conoscenti non sanno come parlare con i genitori della perdita del loro figlio. Una possibilità può essere quella di dire: «Mi mancano le parole». È di gran lunga decisamente meglio che tacere o banalizzare la morte. Finché come società non impareremo ad affrontare l’argomento in modo più aperto, queste paure continueranno a esistere. Serve più coraggio e la volontà di confrontarsi con questo argomento.